Questo è l'originale integrale dello scritto uscito sull'unione sarda...
La mattina del 22 ottobre mi hanno svegliato i rimbombi dei tuoni e
dei fulmini lanciati da Giove Pluvio.
Sapevo che la Sardegna si sarebbe trasformata presto in un'isola dei Tropici, ma - pur catastrofista convinto quale sono- non pensavo così presto.
Entro in bagno e sento che il soffitto gocciola copiosamente, i rubinetti gorgogliano inquietanti, l'umido trasuda ovunque, come se i muri medievali non riuscissero a reggere l'impatto, o il mare del porto fosse risalito sino a terra.
Esco di casa e così è: le vie sono fiumi in piena, i portici sono
coperti da mezzo metro d'acqua, i tavolini dei bar galleggiano agitati come barchette senza vela, gli umani smarriti si aggirano in una città divenuta spettrale e conosciuta, con i piedi e le gambe a bagno.
Cagliari sembra Venezia. Ha un che di suggestivo, anche, questa apocalisse.
Ma i tombini sono ormai dei geyser che sprigionano miasmi di fogna, i rifiuti fuoriescono dai cassonetti, i topi scappano dalla nave che affonda.
Qualcuno, lo sapremo più tardi, soffre e muore, povero e anziano, negli scantinati di case costruite ostruendo fiumi e violentando la natura. Usque tandem...?
Prendo coraggio e immergo mezza gamba nell'acqua che scorre a fiotti.
Passa un autobus e lo prendo, non so bene come, quasi in trance.
Il traffico, manco a dirlo, è come un incubo bloccato su se stesso: gli umani, inscatolati nelle loro macchinette, sentono la forza degli elementi e rabbrividiscono, fingendo sino all'ultimo potenza e sicurezza della tecnica.
Sul bus, una ragazza compie i suoi riti di autorassicurazione col suo cellulare feticcio: lo asciuga amorevolmente, telefona ad amici e parenti, fotografa gli scrosci.
Non è la sola.
Gli occhi di chi sale sono stupiti, esterrefatti, stressati, ma anche increduli, divertiti.
Si ride e si scherza, ci si prende in giro, si solidarizza come se si fosse a Napoli, e non in una città impettita e massone, dal cuore a savoiardo.
'E' la fine del mondo!', sghignazzano alcuni.
Due adolescenti premono l'uscita d'emergenza e si gettano fuori, stanchi di star fermi lì dentro. Si salvi chi può!
Arrivo, dopo un lungo viaggio, all'Università in cui provo a fare il ricercatore.
L'aula magna in cui avremmo dovuto fare l'assemblea è alluvionata, ci si raduna tutti nell'atrio del corpo centrale, quello della mia vita da studente.
La hall è strapiena, si allestiscono impianti d'amplificazione di fortuna, ci si siede per terra o sulle scale. E' divertente vedere i prof che saltano le pozzanghere e gli studenti che sorridono, insieme e uguali per un attimo.
La catastrofe è anche questo: cambiamento, novità, sorpresa, trasformazione repentina, evento, improvvisazione, gioco.
Iniziano gli interventi, riprende in automatico il rituale dei pro e dei contro, delle argomentazioni, della retorica, del vecchio che si
mischia al nuovo, dei conflitti risaputi (occupare si o no? rivoluzione o vandea?) Si animano le schermaglie ciellini-castristi, incendiari- pompieri. Cose già viste, ma da me. Altri devono, giustamente, vivere i loro battesimi d'acqua e di fuoco. Siamo solo agli inizi, direi, ed è già tanto, rispetto al vuoto di questi ultimi anni qui dentro.
Quando, dieci giorni fa, abbiamo deciso, come professori di Scienze della Formazione, di sospendere la didattica, avevamo molti studenti contro: e le loro lezioni, esami, crediti, titoli, graduatorie ?
Ora, qualcosa è cambiato nell'aria. Anche il Rettore è dovuto arrivare qui, ad ascoltare e a parlare, magari a dire cose inaccettabili e ciniche, ma ha dovuto alzarsi dal suo magnifico scranno ed esserci.
Anche il Capo del Governo ha acchiappato le sue televisioni di stato e d'azienda per fare il muso duro, agitando i suoi giochi di guerra da soldatino padano.
Si agitano, i potenti, e non solo per le banche...
Non è abbastanza, non è poco.
L'assemblea va avanti: si parla di unità (un mito difficile da estirpare), ma i discorsi vanno altrove.
Oltre le parole molte cose accadono, basta solo vederle: tra i corpi, le voci, i gesti e le azioni che iniziano, dentro e fuori di noi.
Qualcosa si muove qui, inizia a piovere tanto, e non solo dal cielo...
Godiamoci questo disastro, illudiamoci ancora, giochiamoci ancora...
dei fulmini lanciati da Giove Pluvio.
Sapevo che la Sardegna si sarebbe trasformata presto in un'isola dei Tropici, ma - pur catastrofista convinto quale sono- non pensavo così presto.
Entro in bagno e sento che il soffitto gocciola copiosamente, i rubinetti gorgogliano inquietanti, l'umido trasuda ovunque, come se i muri medievali non riuscissero a reggere l'impatto, o il mare del porto fosse risalito sino a terra.
Esco di casa e così è: le vie sono fiumi in piena, i portici sono
coperti da mezzo metro d'acqua, i tavolini dei bar galleggiano agitati come barchette senza vela, gli umani smarriti si aggirano in una città divenuta spettrale e conosciuta, con i piedi e le gambe a bagno.
Cagliari sembra Venezia. Ha un che di suggestivo, anche, questa apocalisse.
Ma i tombini sono ormai dei geyser che sprigionano miasmi di fogna, i rifiuti fuoriescono dai cassonetti, i topi scappano dalla nave che affonda.
Qualcuno, lo sapremo più tardi, soffre e muore, povero e anziano, negli scantinati di case costruite ostruendo fiumi e violentando la natura. Usque tandem...?
Prendo coraggio e immergo mezza gamba nell'acqua che scorre a fiotti.
Passa un autobus e lo prendo, non so bene come, quasi in trance.
Il traffico, manco a dirlo, è come un incubo bloccato su se stesso: gli umani, inscatolati nelle loro macchinette, sentono la forza degli elementi e rabbrividiscono, fingendo sino all'ultimo potenza e sicurezza della tecnica.
Sul bus, una ragazza compie i suoi riti di autorassicurazione col suo cellulare feticcio: lo asciuga amorevolmente, telefona ad amici e parenti, fotografa gli scrosci.
Non è la sola.
Gli occhi di chi sale sono stupiti, esterrefatti, stressati, ma anche increduli, divertiti.
Si ride e si scherza, ci si prende in giro, si solidarizza come se si fosse a Napoli, e non in una città impettita e massone, dal cuore a savoiardo.
'E' la fine del mondo!', sghignazzano alcuni.
Due adolescenti premono l'uscita d'emergenza e si gettano fuori, stanchi di star fermi lì dentro. Si salvi chi può!
Arrivo, dopo un lungo viaggio, all'Università in cui provo a fare il ricercatore.
L'aula magna in cui avremmo dovuto fare l'assemblea è alluvionata, ci si raduna tutti nell'atrio del corpo centrale, quello della mia vita da studente.
La hall è strapiena, si allestiscono impianti d'amplificazione di fortuna, ci si siede per terra o sulle scale. E' divertente vedere i prof che saltano le pozzanghere e gli studenti che sorridono, insieme e uguali per un attimo.
La catastrofe è anche questo: cambiamento, novità, sorpresa, trasformazione repentina, evento, improvvisazione, gioco.
Iniziano gli interventi, riprende in automatico il rituale dei pro e dei contro, delle argomentazioni, della retorica, del vecchio che si
mischia al nuovo, dei conflitti risaputi (occupare si o no? rivoluzione o vandea?) Si animano le schermaglie ciellini-castristi, incendiari- pompieri. Cose già viste, ma da me. Altri devono, giustamente, vivere i loro battesimi d'acqua e di fuoco. Siamo solo agli inizi, direi, ed è già tanto, rispetto al vuoto di questi ultimi anni qui dentro.
Quando, dieci giorni fa, abbiamo deciso, come professori di Scienze della Formazione, di sospendere la didattica, avevamo molti studenti contro: e le loro lezioni, esami, crediti, titoli, graduatorie ?
Ora, qualcosa è cambiato nell'aria. Anche il Rettore è dovuto arrivare qui, ad ascoltare e a parlare, magari a dire cose inaccettabili e ciniche, ma ha dovuto alzarsi dal suo magnifico scranno ed esserci.
Anche il Capo del Governo ha acchiappato le sue televisioni di stato e d'azienda per fare il muso duro, agitando i suoi giochi di guerra da soldatino padano.
Si agitano, i potenti, e non solo per le banche...
Non è abbastanza, non è poco.
L'assemblea va avanti: si parla di unità (un mito difficile da estirpare), ma i discorsi vanno altrove.
Oltre le parole molte cose accadono, basta solo vederle: tra i corpi, le voci, i gesti e le azioni che iniziano, dentro e fuori di noi.
Qualcosa si muove qui, inizia a piovere tanto, e non solo dal cielo...
Godiamoci questo disastro, illudiamoci ancora, giochiamoci ancora...
Fonte: Mail
0 commenti:
Posta un commento